Nella seconda metà degli anni sessanta nacque, sulle ceneri dell’Informale, per iniziativa di alcuni artisti che lavoravano a Milano (in particolare Fernando De Filippi, Paolo Baratella e Giangiacomo Spadari) e a Parigi, un gruppo che Gérard Gassiot-Talabot definì come “Figuration Narrative” ed Enrico Crispolti “Nuova Figurazione”.
Il fine di questi artisti era quello di spostare i modelli di riferimento da un’impostazione naturalistica a una che potremmo definire “massmediologica”.
Crispolti organizzò a Roma una mostra dal titolo Il rinnovamento delle nozioni visive.
Si trattava di superare la concezione naturalistica del post-informale attraverso un rinnovamento dei modelli.
Anche la stampa si stava rinnovando. I giornali, da scritti, stavano diventando illustrati.
I riferimenti delle immagini non derivavano più dalla realtà, ma dall’informazione. La cultura stava sostituendo la natura. I nuovi nodelli erano a questo punto le riviste e i quotidiani, che informavano su quanto succedeva nel mondo.
In un certo senso, dal chiuso dello studio, si passava a un’osservazione dell’universo politico. Si lavorava a partire dall’immagine fotografica o cinematografica, dalle icone pubblicitarie, dai comics, per introdurre una dimensione politica e critica spesso assente dalla Pop Art.
Si cercava di superare una situazione individuale, esistenziale, a favore di analisi collettive. La stessa struttura formale dell’opera privilegiava la narrazione, la moltiplicazione dei punti di vista si sostituiva all’opera monocentrica. L’aspetto formale diventava un tutt’uno con i contenuti, la forma un contenuto che tentava di superare il protagonismo formale.
Si cercava di unificare la teoria e la prassi all’interno del lavoro. Il modello non veniva “trovato” seguendo le emozioni individuali, ma veniva deliberatamente costruito attraverso elaborazioni fotografiche, immagini polarizzate o bruciate, in modo da eliminare la gradualità dei grigi, e quindi ridisegnate sulla tela seguendo una strategia narrativa che presupponeva la presenza del “progetto”. Opere che quindi si avvalevano delle prime scoperte delle nuove tecnologie e che nel contempo diventavano “cronaca” degli avvenimenti del tempo.
L’artista tendeva a uscire dal dorato isolamento per divenire componente attiva della società, riacquistando una funzione critica rispetto al contesto sociale.
Grazie alle relazioni internazionali di Enrico Crispolti nacque un rapporto con gli artisti francesi o residenti a Parigi, con la Figuration Narrative teorizzata in Francia da Gérald Gassiot-Talabot e da Pierre Gaudibert, allora direttore del Musee d’Art Moderne de la Ville de Paris.
Nel 1973 Gaudibert promosse e organizzò al Palais des Beaux-Arts di Bruxelles la mostra 4 peintres et une ville – Milan, portata nel 1974 al Musee d’Art Moderne de la Ville a Paris con opere mie e di Spadari, Baratella e Umberto Mariani. Una mostra che coincideva, sia per la struttura formale, sia per i contenuti, con il movimento della Figuration Narrative, che tendeva a dare all’opera una funzione politica e critica della società.
Un movimento che si opponeva alla Pop Art americana, considerata troppo egemone, troppo formale, indifferente alle lotte politiche del tempo e per nulla critica sulla società dei consumi. La nuova ricerca, nonostante l’utilizzo di alcune espressioni formali simili alla Pop Art, proponeva un discorso militante che fissava l’obiettivo, magari velleitario, sulla trasformazione sociale.
I Paesaggi tropicali degli anni sessanta-settanta sono realizzati seguendo una tecnica che fa pensare alla segnaletica, ma che nello stesso tempo recuperava il concetto estetico nella sapienza cromatica e compositiva propria della pittura. Più che al paesaggio si riferivano alla “rappresentazione del paesaggio”.